All’inizio del XXI secolo, i dibattiti sull’integrazione delle persone musulmane acquisiscono una nuova dimensione: assumono un orientamento più difensivo e si focalizzano addirittura su questioni di sicurezza pubblica. L’attenzione è ora meno incentrata sulla compatibilità dei valori islamici e occidentali, mentre si mettono maggiormente in luce i rischi che le persone musulmane potrebbero rappresentare per la coesione sociale e la sicurezza nazionale. I dibattiti sul velo integrale testimoniano questo cambiamento. Il niqab o il burqa danno luogo a dibattiti non solo sull’autonomia e sull’uguaglianza delle donne, nonché sul posto dell’Islam nella società svizzera, ma anche sui rischi che gli atteggiamenti religiosi fondamentalisti rappresentano per la Svizzera. Questo svolta difensiva si è ulteriormente rafforzata a seguito dell’iniziativa anti-minareti nel 2009, evento che ha fatto emergere attrici e attori musulmani di nazionalità svizzera che difendevano forme ideologiche e persino politiche dell’Islam. Nicolas Blancho, Abdelaziz Qassim Illi e sua moglie Nora Illi (deceduta il 23.03.2020), tutti e tre membri fondatori del Consiglio Centrale Islamico della Svizzera (CCIS), ne sono un esempio.
Alcuni imam al centro dei sospetti
Anche gli imam sono nel vivo della polemica. Per esempio, Hani Ramadan, direttore del Centro islamico di Ginevra, aveva difeso la lapidazione come principio per scoraggiare l’adulterio in un articolo pubblicato nel 2002 su Le Monde. Nel 2004, l’imam di origine marocchina Yussuf Ibram, che all’epoca lavorava in una moschea zurighese, si è pure lui rifiutato di condannare la lapidazione che, secondo la sua interpretazione, fa parte della legge islamica.
Gli imam attirano regolarmente l’attenzione attraverso il contenuto dei loro sermoni o le loro dichiarazioni pubbliche. Ne è un esempio l’imam libico Abu Ramadan, condannato dal tribunale regionale di Bienne per discriminazione razziale a seguito di dichiarazioni tenute durante una predica. Oltre alla condanna per discriminazione razziale, l’imputato è stato riconosciuto colpevole di frode sociale. Nel giugno 2021 è stato condannato ad una pena detentiva di 14 mesi sospesa con la condizionale e all’espulsione dalla Svizzera per sei anni.
Ad essere controverso è anche il ruolo degli imam nel processo di radicalizzazione e reclutamento di giovani da inviare nelle zone di guerra. Per esempio, l’imam etiope di Winterthur avrebbe influenzato la partenza di giovani da questa regione verso aree in questione. Questi diversi esempi mostrano in che misura le opinioni espresse dagli imam in pubblico o in seno alla loro comunità fanno parte dei dibattiti sull’integrazione dell’Islam in Svizzera. Va notato, tuttavia, che le posizioni difese da alcuni imam non sono rappresentative delle opinioni e del lavoro di tutti gli imam presenti in Svizzera. I loro profili, la loro formazione e la loro integrazione nel nostro Paese sono molto variegati e la maggior parte di loro s’impegna nella comunità locale in uno spirito di apertura e di lavoro interreligioso.
Il finanziamento di moschee e associazioni islamiche
Dato che l’Islam non è riconosciuto dal diritto pubblico, lo Stato non riscuote una tassa di culto da versare alle associazioni musulmane affinché la investano nella gestione della loro comunità. Di conseguenza, il finanziamento delle strutture associative musulmane dipende da diverse fonti: quote sociali, donazioni private dalla Svizzera e dall’estero, aiuti da un Paese terzo, fondazioni private svizzere e straniere o sovvenzioni di progetti specifici da parte di un’istituzione statale. Alcune associazioni possono anche contare sul sostegno dei propri membri che forniscono per esempio prestazioni in natura come lavori di elettricità, piastrellatura, pittura e manutenzione.
Quando si acquista un terreno o si inaugura una moschea, regolarmente si pone la questione del finanziamento del progetto. Il denaro investito è pulito e tracciabile? Le donatrici e i donatori hanno un’agenda nascosta? Che ruolo svolge il Paese terzo che finanzia (in parte) il progetto nel successivo funzionamento dell’associazione? Può un’associazione rispettare i principi dello Stato di diritto e allo stesso tempo essere finanziata da fondi provenienti da Paesi che non riconoscono questo principio? Tali dibattiti sono avvenuti, per esempio, in relazione al finanziamento e all’amministrazione della Fondazione culturale islamica di Ginevra (meglio nota come Grande Moschea di Ginevra) e alla sua vicinanza al regime saudita.
Anche il finanziamento di vari progetti da parte di Qatar Charity, come il Museo delle civiltà islamiche a La Chaux-de-Fonds avviato da Nadia Karmous, il Complesso culturale musulmano di Losanna (CCML) e altri due progetti a Bienne e Lugano hanno alimentato le discussioni. Nella Svizzera tedesca, il ruolo della Türkische Islamische Stiftung für die Schweiz (TISS) (Fondazione turco-islamica per la Svizzera) è al centro dei dibattiti. Si tratta del ramo elvetico del Direttorato turco degli affari religiosi che assegna e finanzia gli imam nella rete di moschee ad esso affiliate.
Le associazioni devono essere trasparenti sulle loro fonti di finanziamento e prendere posizione sulle accuse mosse loro, secondo cui le loro strutture sono legate a correnti politiche o ideologiche. In questi casi, il loro riserbo non serve quasi mai, anzi tende a metterle in discussione piuttosto che a favorire un clima di fiducia. Le tre accuse più spesso mosse nei loro confronti sono la mancanza di competenze per garantire l’origine dei fondi, per gestire in modo professionale la contabilità di un’associazione e per assicurare il funzionamento democratico della loro organizzazione.
L’ombra della radicalizzazione
Alla confluenza dei dibattiti pubblici sugli imam e sul finanziamento delle moschee ci sono le discussioni sulla radicalizzazione, soprattutto dei giovani, delle donne e delle persone convertite. La violenza degli attentati perpetrati da gruppi associati ad Al-Qaeda o Daesh è spesso legata ad una retorica di legittimità radicata nel contesto di riferimento escatologico islamico (per esempio, jihad, kufr, hijra). Per questo motivo, l’Islam e il terrorismo sono talvolta associati l’uno all’altro.
Nella sfera pubblica, si contrappongono così due posizioni antagoniste: quella secondo cui l’Islam porta con sé i semi della violenza o addirittura del terrorismo e quella che rifiuta di vedere negli atti di terrorismo un legame con l’Islam.
Questa polarizzazione del discorso cela la diversità delle motivazioni, dei percorsi di sviluppo e dei profili di coloro che adottano comportamenti radicali o terroristici. Tuttavia, il movimento jihadista è oggi il più seducente sul mercato delle ideologie rivoluzionarie. È innegabile che i suoi seguaci non condividano il messaggio etico che la maggioranza delle persone musulmane associa all’Islam. È però altrettanto difficile affermare semplicemente che i seguaci dell’ideologia jihadista non sono musulmani, perché questi ultimi giustificano i loro atti con la loro appartenenza all’Islam e con una particolare lettura del Corano e della Sunna. Nell’ambito di questi dibattiti, le persone musulmane in generale, i leader delle associazioni e gli imam in particolare, vengono regolarmente rimproverati di non prendere una posizione più concreta e di non condannare il terrorismo con maggior fermezza. Questo relativo silenzio solleva il sospetto di connivenza e i comunicati stampa delle associazioni mantello sono difficilmente in grado di confutare queste illazioni agli occhi dell’opinione pubblica.
In sintesi, si può affermare quanto segue: il posto che l’Islam e le persone musulmane occupano nei dibattiti pubblici in Svizzera dipende spesso dagli sviluppi a livello internazionale, indipendentemente dal fatto che si tratti di visibilità religiosa, dichiarazioni ideologiche e di posizioni degli imam, del finanziamento di associazioni o di radicalizzazione.